OK


Ok.Era tutto quello che sapeva dire, o meglio rispondere.
Lei,  che non era stata nulla, solo una lumachina che frusciava tra l'erba sporca in un campo dimenticato, non aveva mai avuto un solo sguardo, non per sè.
Nessuno chiedeva, perciò che ne sapeva lei di quella strana intonazione che nuove donne, con abiti puliti e dita affilate, cominciarono ad assumere quando le parlavano. A lei?
Se ne stavano lì, dritte come stambecchi, con smorfie comiche. La guardavano, gesticolavano, aspettando, che cosa? che Tamira  si facesse uscire qualcosa dalla sua bocca cucita.
Volevano qualcosa da lei, lo intuiva ma non capiva.
La piccola dagli occhi incerti non lo capì, non  la prima volta. Ma un pomeriggio udì di nuovo quell'intonazione, alzò lo sguardo e in una smorfia, dentro ad un paio di fossette, scorse un numero di pretese che forse non doveva disattendere. Di risposte non ne aveva, non per loro. Lei non poteva, non voleva .
Non era come le altre bambine. A lei le bambole non piacevano perchè non ne aveva mai avuta una. E sua madre non era come quelle che le sorridevano un pò troppo perchè non provasse vergogna. Sua mamma
non le accarezzava i capelli,  che lunghi le scendevano sulle spalle minute. Erano neri e Tamira adorava pettinarli, accarrezzarli, li voleva lisci, come se la madre avesse passato anni che lei non conobbe a districarle i nodi, a muovere delicatamente le mani sulla sua folta chioma per farla addormentare quando il freddo rendeva la cosa ardua. Tamira poteva fare tutto da sè, non chideva nulla, solo di essere lasciata in pace, di non mostrarsi. Non era come gli altri bambini, non aveva i loro pomeriggi, nè i loro compleanni, le giornate al mare, non un castello di sabbia da raccontare. Lei li faceva con la terra, a volte col concime, e come le onde, ci pensavano le ruspe a spazzare via i suoi castelli imperfetti e dalla torre nell'ala sud  una principessa urlava di paura.Nessuno le doveva delle spiegazioni e lei non doveva  mai rendere conto di nulla a nessuno. Veniva sbattuta da un campo all'altro nel silenzio dei suoi perchè e lungo i corridoi interminabili dei suoi dieci anni. Al secondo decise di non incollare immagini alle pareti, nessun frame alla sua vita, nessun souvenir che le ricordasse una roulotte di quei posti che sua nonna icevad dimenticati da Dio. Fu allora che si prese la licenza di dimenticare, ogni istante.


Con occhi incerti cercava di rifuggire sguardi che ora la interrogavano.
Tamira era ancora una piccola chiocciola che la rugiada non poteva più bagnare. Il caldo si faceva soffocante sotto sguardi che nemmeno la conoscevano e lei non voleva farsi scovare, non da loro. Sentiva più dignità nell'essere un piccolo animaletto che si muoveva nel pezzo di terra che aveva scelto per sè senza dover nulla a nessuno. Senza obblighi, nè divise, nè doveri.
Ormai era troppo tardi per non farsi notare. Il guscio se l'era perso per strada o in un campo, il suo.
Gli assistenti sociali l'avevano preceduta, poi il giudice. La piccola chiocciola nn ci mise molto a capire. Ora aveva...era una casa? porte monocromatiche che racchiudevano stanze da cui sbucavano stambecchi, damerini, a volte bambini, da altre mamme, assomigliavano tanto alla sua, ma camminavano a testa alta, con passo deciso.
Ci mise poco a capire le regole del gioco. L'avvocato parlava di diritti e doveri. Tamira non aveva conosciuto un solo diritto ma capì che aveva il dovere di rispondere a quelle bocche colorate. La cosa la rese triste, impotente , strinse gli occhi. E Tamira se ne andò.
Lo fece un giorno, davanti allo specchio. Finalmente sola in un bagno di una cameretta che aveva i letti. Erano graziosi, comodi, caldi e soffici. Ma quel mattino Tamira aveva  un bel da fare. Si specchiò, vide in due  occhi neri come la pece tutto ciò che non voleva raccontare, tutte le risposte che non voleva dare, quello che di sè voleva tenere. Solo per sè. Fece un sorriso molto ampio, di quelli che aveva visto annoiata davanti alla tv. Lo provò più volte finchè gli zigomi e gli occhi sembravano racontar la stessa bugia. Funzionava, tutto il resto lo avrebbe chiuso in un semplice ok.
Molte volte mancava agli appuntamenti ma lei poteva dire solo "ok", nessun altro pezzo di sè. Faceva sempre i compiti e i suoi quderni erano più bianchi della rugiada.  Si era educata ad ubbidire senza dire la sua. Solo un suono che dalla sue labbra incerte usciva convincente. Così esauriente e squillante soddisfava le orecchie dei più ed eccole le fossette, quelle pettegole invadenti che le si piazzavano lungo il tragitto che dalla camera la portavano in biblioteca. Un sorriso, un "ok", la smorfia svaniva e Tamira passava oltre.
Col tempo conobbi il sorriso di Tamira. L'altro lo indossava.
Appoggiava le gote sulla bocca, con un movimento meccanico tirava  le labbra all'in sù e mentre gestiva i fili come un burattinaio diceva "ok", quale fosse un suo desiderio.
Era Una bellissima marionetta dai capelli corvino che sorrideva: una straziante caricatura. Le pupille le si dilatavano in modo abnorme per raccogliere tutta la luce che non sapeva emanare. E di nuovo "Ok", rispondeva.
Non piangeva, mai . Le maschere non hanno gli occhi.

Nel bel mezzo di Dicembre la portarono a vedere Arlecchino. Appena tornata io l'aspettavo in cima ad una rampa di scale. Non mi aspettava, non mi scorse. Alzai il tono della voce"com'era allora?" le chiesi. Lei, senza voltarsi, disse "ok". Si lavò la faccia, sciolse la maschera nel sapone e mi prese per mano. Fu allora che conobbi il suo sorriso. "Mica è febbraio", disse. Non seppi mai se si riferisse all'Arlecchino appena visto a Teatro o alla maschera che aveva smesso di indossare, almeno con me. Mi ero sbagliata, lei mi aspettava, non si era voltata per non scorgere una gradino vuoto, l'ennesimo. Aveva rallentato il passo, voleva udire la mia voce, sperava, non ne sono sicura ma credo fosse quella l'emozione che le vidi gonfiare una lacrima, fu una goccia fugace, sciolse il trucco rimasto e mentre scendeva,lenta, bagnò  il  primo sorriso di Tamira. La frequentavo da un mese. La conobbi solo quel giorno,di metà Dicembre, dall'ultimo gradino di una rampa di scale davanti ad un sorriso caldo, gentile,  attraverso una lacrima, che nemmeno io sapevo di avere.

Commenti

  1. E' LA SCRITTURA CHE SALVA LA PAROLA STERILE DI BRILLANTEZZA MA PARTICOLARMENTE SPONTANEA, OK!

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  2. Condivido, è la scrittura che da il volto alla parola... OK!

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