QUESTIONE DI SGUARDI /2

Anna. Era. Felice.
Guardava Marisa nella penombra. Lì protesa verso lo specchio Marisa si metteva il rossetto. Anna muoveva la testolina a destra, a sinistra, si alzava poi nei sandaletti rosa per vedere meglio.
L'appuntamento era sempre alle otto, nel bagnetto sottostante l'androne, seminascosto da scale che ripide conducevano a piani superiori che si sviluppavano in altezza. Quando portavano Claudia urlante, in carrozzina, era meglio prendere l'ascensore perchè le scale erano strette, spigolose, soffitto alto, anzi altissimo. Una, due, tre, no no, ne era sicura, ce ne volevao almeno dieci di Anna per toccarlo con un dito. Immaginava, lei, che quel soffitto dovesse essere stato costruito per giraffe.
Non solo le scale ma anche casa sua, primopiano a destra o i giorni della carrozzina, primo piano a sinistra. Le toccava prendere l'ascensore: una specie di gabbia rettangolare, alta anche quella, altissima. E ciò avvalorava la tesi sulle giraffe.
Era una gabbia nera: pieni, bombati, di metallo, e vuoti, bè vuoti. Da dentro vedevi fuori e viceversa. Ad Anna piaceva più la seconda: salire le scale piano piano, aggrapparsi alla ringhiera e con gli occhi sempre più piccoli scrutare le persone in gabbia finchè non svanivano. Sentiva poi solo un rumore continuo, le due ante traballanti, sempre più sfasate, che si sfioravano, e un vociferare lontano. Poi si sedeva e aspettava nuove comparse.

Rimaneva lì appoggiata ad una griglia nera arrugginita dal tempo. A volte ci passava sopra la lingua e poi stringeva i denti. Provava un fastidio che le faceva contorcere le dita dei piedi. Ma Anna poi lo rifaceva, non spesso, solo quando si chiedeva se l'ascensore fosse arrivato lì prima di lei.
Insomma la casa era nata per ospitare lei o era forse stato l'opposto? La maggior parte delle volte il sapore della ruggine in bocca le davano per certa la prima, quindi quel saporaccio aveva soli tre anni e mezzo. Anna faceva quel gioco di nascosto perchè sapeva bene già come "una signorina come te deve saper comportarsi". Poi il padre svaniva di nuovo. Ad Anna pareva per sempre. Lo ritrovava di tanto in tanto, quando le scappava e non riusciva a trattenerla. E allora sentiva un rumore d'acqua continua, il chc peggiorava lo stato della sua vescica, e poi qualcosa di ruvido: il rumore del rasoio di papà. Lei bussava, lui usciva, lei entrava, poi lei usciva e lui chiudeva nuovamente la porta dietro di sè.
Il gioco lo faceva comunque per un motivo moto più importante. Aveva una domanda impellente che quando il padre la sgridava perchè mangiava troppi biscotti, le rare volte che la vedeva, o ci inciampava, diveniva urgente: sapere se i...li chiamavano portinai della casa, comunque se quella donna gentile e quell'uomo sorridente sempre, se Marisa e Romolo, fossero stati messi, cioè non proprio messi ma magari avessero deciso loro di essere lì, un giorno d'estate in cui Anna nacque, ad aspettarla.
Doveva saperlo perchè Romolo fu il primo uomo di Anna. Il primo sguardo ed unico, per anni.
Quello sarebbe stato, e fu così  davvero, l'unico sguardo d'uomo che avrebbe scorto e amato Anna negli occhi, quelli ancora piccoli e del color del tè. Lo sarebbe stato per almeno i successivi, lunghi, venti anni di lei, lei solamente, coi  suoi pensieri, quelli seminascosti, sognanti e un pò bui. Lei, Anna.
Fin dalle prime ore del mattino le giorante  erano scandite da colori dalle tonalità forti, a cominciare dal rossetto . Quello delle otto, quello delle labbra di Marisa fatte per colorare. Disegnavano leggere curve sulle gote di Anna e Caterina. Ma che ridere: si nascondeva dietro la gonna ampia di Marisa ma poi Anna non ce la faceva, non sapeva trattenersi, scoppiava in una risata sbellicante davanti alle labbra di Romolo che scarne sfumavano, da un bacio, nel color porpora, altre nel viola, o ancora nel rosa, quello fucsia.
Ecco una questione importante per Anna: il rosa fucsia.
Marisa dopo le labbra s'incipriava le guance, toccava i capelli il meno possibile, erano biondi, raccolti in uno chignon rigido. Doveva averle richiesto ore anche se forse Marisa ci era nata con lo chignon.
Chiusa la porta del bagnetto: "Romolo svelto, le bambine fanno tardi!". Anna e Caterina, erano loro le bambine. La più piccola e scapestrata faceva il primo anno di asilo mentre Caterina, che di anni ne aveva il doppio, aveva da poco cominciato l'ultimo. In definitiva Anna se ne stava nella classe verde e Caterina due aule più in là: la classe BLU. E chissà com'è, destino, il colore preferito di Anna fu da sempre e poi sempre sarà il blu e in tutte le sue tonalità.
Ma quello non era poi troppo un problema. Cioè che la madre vestisse Anna sempre di rosa e Caterina di blu, questo già era un pò fastidioso ma non quanto guardare nella scatola, quella d'alluminio che la piccola dai sandaletti, appunto rosa, doveva pure protendersi sul tavolo con slanci continui per raggiungerlo e non trovare il rosa fucsia.
Anna colorava tutto di fucsia: i fiori, le facce, gli alberi, le case, le macchine a volte. Non disegnava bene, le stelle le faceva nascere da piccole crocette che s'incastravano l'una nell'altra. Lo faceva col fucsia.
Arrivò presto la prima volta che Anna invidiò Caterina.
Erano in stanza, ognuna sul proprio letto. Cate aveva il copriletto di Barbie e Anna quello di un orsetto qualunque. Ma nemmeno quello era un gran problema. Lo fu scorire le stelle della sorella. Erano perfette, anzi p-e-r-f-e-t-t-e. La Cate partiva da sinistra poi destra, di sù, di giù e di nuovo a sinistra. Anna seguiva la matita della sorella a rischio di strabismo. Come faceva?  Erano delle bellissime piccole stelle: quelle sì che lo erano. E poi ci potevi colorare pure dentro.
Anna amava poche cose: il blu, le barbie e le stelle.
Ci giocava con le barbie, ruzzolavano sempre da qualche pendio per finire in braccio a ken, ma non  ne ebbe mai il copriletto, mai la classe blu, e mai le stelle di Caterina.
Una cosa tutta sua ce l'aveva però: il giradischi della Fisher Price!
I pomeriggi, molti, richiudeva dietro  passi silenziosi la porta di casa. Scendeva le scale, piano perchè con la sinistra doveva tenere quella scatola magica che emanava musica e con l'altra mano i dischi. Anna non li chiamava dischi ma col nome delle canzoni che portavano. Perciò scatola musicista tra le dita, da un lato, e dall'altro Sandy dai mile colori, Lovely Sara, Principessa dai capell blu, Papà Gambalunga, i puffi. Eran tantissime e quel batuffolo dai capelli del colore delle castagne non si capacitava del fatto che ci stessero tutte, proprio tutte, tranne qualcuna che rimaneva sul letto di barbie, in que piccoli cerchi.
Lo imparò poi col tempo, ma fu lì in cima ad una rampa di scale che per la prima volta lo intuì.
Il cerchio era il simbolo dell'Infinito.

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