QUESTIONE DI SGUARDI ...prima parte


Anna camminava come se fosse il vento a sospingere i suoi passi. Così leggiadra tra gli sguardi indiscreti della gente. Aveva il suo pubblico. Occhi puntati su di sè. Su gambe nude fasciate da un allegria che le alzava i  tacchi di qualche centimetro in più. Lei che non era altissima, solo un metro e sessantacinque, ma ricoperti, centimetro dopo centimetro, da sguardi affamati, ammaliati. Non se ne perdeva uno. Lavorava molto con la coda degli occhi. I suoi fan erano ovunque, a 360 gradi. Non c'era un solo millimetro di pelle non scrutato, non amato almeno da qualcuno: uno sconosciuto.
Anna morì. Lo fece in quegli sguardi, giorno dopo giorno. Li voleva a tal punto da svuotare un sè che aveva perso anni prima, una valanga di anni prima che l'avevano poi travolta nelle passerelle per le strade di ogni dove. Men che nel suo cuore.
Erano tutti a tavola. Mamma, Papà, la piccola Claudia, Anna e Caterina. Oh la Cate. Qant'era bella. Portava sempre il sole in casa. Anna si scaldava nei suoi raggi e poi si raggelava negli occhi del padre. Vedevano solo lei, Caterina. Sì Caterina la Grande. Era la maggiore delle tre e fu sempre coperta da un fascio di luce che conquistavano quegli occhi dannatamente suoi. Anna li voleva.


Alcune sere, dopo la solita sfilata rientrava a casa nei suoi quindici anni, quasi sedici.
Si attardava, perchè Anna si perdeva nei libri, nei sogni e ci voleva concentrazione per esserci, nei suoi libri. Doveva entrare ed uscirne di continuo, in base al numero dei caffè, dei corridoi da percorrere, degli occhi da soddisfare
Quindi si attardava qualche sera. Apriva la porta. Solitamente per qualche coincidenza, forse perchè erano sempre così in sintonia, anche la Grande mancava. Anna si sedeva al tavola imbandito di tutti i familiari fuorchè due, di lei e Caterina.
Gli occhi del padre si facevano fuligginosi e adirati: "Anna sei in ritardo di dieci minuti...". "Ero in biblioteca a studiare..." e gli occhi del padre se li perdeva, di nuovo, in un piatto di pasta. Era solo la solita giornata per Anna, classica, come i suoi studi, quelli che il padre voleva, e gli occhi di tutti. Meno i suoi.
Ma poi ecco la porta aprirsi nuovamente. Caterina e.. "papà non hai idea di quanti addominali ho appena fatto. Sono esausta. Ah ti saluta l'istruttore, quello simpatico che gioca a tennis".
Alzava gli occhi dalla pasta e radioso in viso si faceva sedurre da quei racconti. Erano sempre un bel quadretto, tanti bei sorrisi, tanto croscianti, vivaci,  quanto ingiusti e crudeli. Anna mangiava o forse nemmeno lo faceva, si assentava nella storia, le mancavano poche pagine da tradurre per la Lucioli, la storia di Apuleio, chissà come si sarebbe conclusa. Lì Anna se ne andava. Di nuovo. Stavolta davanti ad occhi che non la vedevano.
Anna aveva gli occhi di tutti ma c'era solo uno sguardo, un unico singolo sguardo che desiderava per sè.
Anni di tentativi buttati a mare, nelle infinite ore di windsurf per riuscire a salire sulla tavola anche quando il vento non spirava. Lei con costanza scarrocciava con tavola e vela, spinte di gambe, di bacino. A volte il vento la sollevava. Dopo due ore, stremata com'era, si girava felice, ce l'aveva fatta. No. Tentativo fallito. Papà rimprendeva Caterina che giocava a beachvolley e faceva le smorfie "più simpatiche al mondo" in telecamera. Non finiva lì. A ferire Anna erano gli occhi di un padre, seduto sulla poltrona di casa che guardava con fierezza il filmino. Quella creatura così in gamba, loquace, così meravigliosa e sullo sfondo, piccola piccola, ci voleva lo zoom o occhi atenti, interessati, aperti, c'era lei, minuscola, una comparsa, che cercava di tirare su quella dannata vela come il padre le aveva detto di fare, con costanza, un amoroso ricatto in cui lei soleva cadere sempre.
Oltre l'acqua bassa, c'erano i sassi, taglienti. Le tranciavano brandelli di cuore davanti a quel video Cate Cate. In silenzio si disinfettava le ferite. Il sale che sentiva scorrere ancora tra le lacrime e il sudore, bruciava quei lembi di pelle mai rimarginati. In quel quadretto Anna non c'era.
Non ci fu, quasi mai.
Aveva ventidue anni, ora si specchiava negli occhi di un altro uomo. Il suo. Molto più garnde di lei. Furono quattro o cinque mesi di gloria, ma la storia non poteva che ripetersi. Cercava una paio di occhi, solo quelli e perderli voleva dire ancora tornare a quelle cene, su quella spaiggia e perdere.
Nell'oscurità volteggiava tra la gente, alzava gli zigomi quasi fossero sorrisetti, sempre, 360 gradi. Poi, la sera, si muoveva sinuosa per quei nuovi occhi, castani, grandi, affascinati, ipnotizzati e amanti, finalmente suoi.
Finchè la vita non le venne in soccorso fu sempre così. Una ricerca e un volteggiar continuo. E Anna lì non c'era.
Fu sempre, da sempre, e solo, una questione di sguardi.

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