NON è PIù AFFAR NOSTRO


Marta amava. Lanciare i sassi nello stagno, sporgersi per vedere i cerchi oscillare come ragazzine innamorate, fragili quali foglie al vento, per poi risalire in superficie, trasalire fino a scomparire. Come poteva un essere minerale dare tanta forma al mondo? I pensieri, caotici, di Marta seguivano silenti per non disturbare quella quiete, perimetri perfetti che si richiudevano sempre su stessi. Riaffioravano sempre più e sempre più piccoli si facevano, per poi sparire. Come i sogni che in quella notte di mezza o piena primavera stavano per annegare lì, dentro. I cerchi rimanevano, a galla, concentrici, statici, nessuna sfumatura, nessun impeto. Questo Marta lo sapeva, lo sperava ogni volta che un sasso cadeva in quello stagno, in cui un ostacolo si immergeva nella sua vita, senza chiderle se non fosse troppo pesante, troppo aguzzo o tagliente, o troppo piccolo, prima di gettarvisi. Sassi, sassolini, pietre, a volte erano uomini, altre solo cadute, altre cause, perse. Non c'era cerchio in cui Marta non si avventurasse, vortici la cui forma era segnata da uno splash tonante. I suoi erano cerchi da ginnasta, quelli che si ama far roteare attorno alla vita sperando cadano il più tardi possibile. Lei amava lanciarli per aria, fare piroette, entraci ed uscirne senza sfiorarne i bordi, in perfetta armonia. A volte però non riusciva a calcolare la distanza tra sè e il cerchio, tra il suo spazio e quello roteante, ed era la fine dei giochi. Il cerchio cadeva, sulla superficie, di gomma stavolta, gomma verde entro quelle quattro mura in cui Marta si esercitava alla vita sempre sospesa, tra panche ed anelli, concentrici. Il cerchio cadeva e con un rumore assordante, rimaneva, lì senza svanire, per terra, fermo, inerme. Marta amava, entrare ed uscire dai cerchi, piroette e movimenti leggiadri. Questa volta aveva sbagliato i tempi, o i movimenti, forse il sasso era stato troppo grande, ma quei cerchi erano divenuti gabbie per leoni, col fuoco che li avvolgeva, ogni mattina, Marta cercava solo di non bruciarsi le dita. Quel sasso ardente era un uomo, con un nome. E Chissà quanta gioia avrà provato, mentre scheggiante si aggiustava i capelli, nel vederla destreggiarsi come unA trapezzista per noN offenderne l'inglese, nel farsi in mille per adempiere alle sue richieste e nel chiudere occhi e orecchie al suo sarcasmo. Un tonfo, il fuoco si è spento, piccole bruciature, il cerchio si è rotto. Lo stagno è muto, ma ci pensano le lacrime di Marta a creare cerchi piccoli piccoli, che nuotano per poi svanire attorno a sogni già annegati, tracciati, schiacciati da sassi meschini. Nello stagno non si scorge più alcun movimeto, le lacrime si sono asciugate al vento. Sussurra, un qualcosa di un eco straziante, da fa tremare l'acqua, turbare la quiete di quel piccolo stagno, e smuovere lacrime cadute. Una tenue bora sussurra. "Sognare, amare. Non è più affar nostro."

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