INCROCI



Mi chiamo Ernada, oggi sono un’attivista dell’associazione 21 luglio e lavoro per sensibilizzare i genitori dei bimbi rom sull’importanza di mandarli a scuola.
Mi chiamo Ernada, e per un po’ ho creduto che nel mio nome fosse già iscritto il mio destino: “il niente”, in slang spagnolo.
Così mi sono sentita per anni, trascinata da un campo all’altro, per le vie di Milano. Un giorno una donna coi capelli raccolti in una treccia mi ha vista mentre un ragazzo italiano mi strattonava e voleva portarmi via un libricino a disegni. Diceva che lo avevo rubato. Era stato l’unico regalo che avessi mai ricevuto in vita mia, da un passante.
Quella signora è venuta al campo ed ha convinto mia mamma a portarmi a scuola. All’inizio mi accompagnava lei, poi ho imparato la strada e non ho più avuto paura degli sguardi disgustati della gente. Poi sono arrivate le ruspe e siamo finiti in un campo lontano.
Mia mamma è rimasta incinta dell’ennesimo fratellino e mi ha detto che non potevo più andare a scuola perché dovevo prendermi cura di loro. Io forse li avrei percorsi quei dieci kilometri per andare a scuola.
La maestra con la treccia ha denunciato la mia assenza. Sono arrivati gli assistenti sociali e mi hanno portata alla “Casa della Carità” con la mia famiglia.
Sono tornata a scuola, una nuova. I bambini mi prendevano in giro perché scrivevo sul banco. Ma nessuno mi dava un foglio e poi la maestra interrogava.
Prendevo tre in tutte le materie. Non avevo accesso alla mensa, perciò stavo tutto il tempo chiusa in classe, a volte in bagno per divenire più invisibile.
Poi, un giorno, una ragazza coi capelli più lunghi dei miei è entrata in classe mia pensando di insegnarmi l’inglese, la storia, l’italiano. Io ho riso di lei, di me. Mesi dopo ho pianto per avere preso sei meno in inglese. Si sbagliava, mi ha insegnato, che valevo, prima poi la storia, e che ero intelligente: che studiare poteva dare un senso alle cose.
Ho cominciato a giocare coi miei compagni, a chiedere in prestito un quaderno, a sorridere, e infine anche a ridere.
Ho vinto borse di studio ed oggi oltre che attivista sono una maestra di asilo.


Mi chiamo Ernada, e la scuola è stata la mia maestra di vita.

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