TORNO. A SCARABOCCHIARE





Ci sono le parole, ci sono le voci, ci sono i rimproveri, ci sono i consigli.

Ad un certo punto le orecchie tacciono e rendono silenti quei tentativi, quasi riusciti, a              convincerti che nei tuoi scritti non ci siano parole ma solo accostamenti errati di sillabe, di vocali e   consonanti.    
Ed un appunto: “a nessuno interessano”.

Allora torni, a scarabocchiare, a risentire voci e parole di cui amavi scrivere, quei consigli e quei rimproveri, che forse erano solo rammarichi o richieste di attenzioni di bambini, che nulla sanno delle logiche di potere che inducono i grandi a parlare, vociferare, rimproverare e giudicare.

Ho ripreso in mano carta e penna, matite e pennarelli. E tanti ricordi.
Sono stati di nuovo loro a ricordarmi il valore delle parole. E mi sono ritrovata a scrivere le mie storie, le favole con morali da far strizzare occhi ai più scettici dei bimbi rom, alle mascelle più dure, finali da far sbottonare cappotti a bambine che non sentivano più tanto freddo, perché non tutte le principesse vivono né felici, né contente.

Mi aspettavano da un po’ all’orfanotrofio, su per giù qualche mese. Ed il piazzale era come quell’ultima volta, spoglio, e l’erba aveva l’odore del sudore dei sorrisi, il profumo di un pianto.

I bimbi erano a pranzo, ho preferito non vederli, ho accennato un pensiero “hanno più bisogno delle mie storie che di me”. Luigina ha carezzato quei fogli, ha letto un titolo e mi ha sorriso, li ha avvicinati al cuore. E quel cuore mi ha riportata lì, nel suo e molto più lontano. Mentre le volgevo le spalle con incedere veloce, quasi volessi scappare, con fare sicuro, insicura di ogni più piccolo passo, sono tornata da Adriana, io orfana, di me.

Sono tornata lì e di nuovo sono entrata, in punta di piedi, in case che sentivo ripetere “familia".
Diversi nomi con un dolce accento rumeno le distinguevano le une dalle altre: Bradului, Pinocchio, Speranza, Stefan, Iulius. Sento il rumore della porta della macchina che ho sbattuto dietro di me prima di affacciarmi, toccare, sentire mondi che non conoscevo, storie troppo dure che stridevano coi dolci sorrisi che quasi tutti i bimbi e i ragazzi dai 5 ai 17 anni mi hanno offerto. Ed ora ho difficoltà ad associare un nome ad una casa perché l’unica cosa che riesco a mettere assieme sono gli occhi di bambini, i loro nomi, la loro vita, i  gesti, gli sguardi.
Sguardi. Talvolta sorridenti, talvolta tristi, timidi, o di sfida. Perle attorniate da visi che si stagliano nei miei pensieri e si muovono nel cuore.

Eccola la prima. Affiora in superficie.


La rivedo, caschetto moro, occhietti vispi, presa ad entrare ed uscire da porte che non le sono mai state aperte nella vita. Si aggirava tra noi mezzi adulti, senza mai sfiorarci. 
Appena allungavi una mano sul suo viso o i suoi capelli, gesto spontaneo, lei alzava il suo musetto, con gli occhi ti latrava contro un “non permetterti”, spariva e dopo qualche istante eccola, di nuovo, nel suo trotterellare tra gli spazi creatisi tra corpi, quasi cercasse di schivare tutto e tutti, ma con un folle desiderio di essere vista e amata. 

Talora concedeva uno sguardo complice, ma solo quando si aggirava in cucina dietro ad una tenda, forse il suo ambiente caldo e protetto. Mi sono sentita speciale a incrociare due occhi da cerbiatto e avere il permesso di potere scavare oltre la superficie. Solo qualche attimo e poi riprendeva, quale fosse una marcia militare, con quel suo fare da maschiaccio, con passi che ti raccontavano di essere sicuri e saldi mentre la sua vita era fatta di sabbie mobili, un futuro incerto e la richiesta che queste donne continuassero a prendersi cura di quel poco che del suo futuro prossimo sperava. Una casa, donne fidate cui stringere una mano, la presenza costante del team di SOS BAMBINI, un pasto, un gioco e bambini da potere schivare. Senza, il suo girovagare sarebbe stato vano, vacuo, nessuna sfida, solo quella con la sua vita. Invece rialzando gli occhi vedeva almeno dieci persone da attraversare senza toccare. Credo fosse un sospiro di sollievo, il suo.

Adriana non faceva altro: entrare e uscire e attraversare, senza mai fermarsi, senza mai voltarsi. Questo era il ritmo che probabilmente placava una vita passata, inenarrabile, e su cui lei non voleva più soffermarsi. Le bastavano le notti talora interminabili per rivedere braccia che l’avevano strappata alla sua infanzia, a una cosa che lei aveva imparato chiamarsi "familia". E non andate a raccontarle che quegli occhi che ha amato, almeno per pochi istanti, il tempo di uno sguardo, quel corpo su cui si è soffermata, accidenti a lei, ingombrante, quelle parole che la cullavano, come si fa con una bambola di plastica, riciclata …  si chiamasse “mama”: la prima parola che questi bimbi desiderano disimparare per poi chissà, un giorno, piccola speranza, di trovarne una, di divenirne una.

Ma eccola, ad un tratto, Adriana, da soldatino si trasforma in qualcosa che non ti aspetti. La vedi prendere un foglio, disegnare un cuore con grande abilità, scrivere il nome della bimba che non riusciva a disegnare quella forma in modo altrettanto disinvolto e firmarlo Denise. Adriana nel suo incedere si era resa conto di tutto, della difficoltà di Denise, del suo correre contro il tempo per donarci un disegno da consegnare alla famiglia che l’aveva ospitata in Italia. Era prezioso per lei, era in preda al panico nel vedere i nostri passi dirigersi verso l’ingresso senza il suo disegno, il suo piccolo dono.

Adriana non ha certo asciugato gli occhi di Denise o le ha messo una mano sulla spalla. Ha preso un foglio, ha disegnato un cuore, l’ha firmato Denise, l’ha piegato, consegnato alla sua proprietaria e Denise, col sorriso, e col calore di un’amica al suo fianco, l’ha consegnato a noi, e forse, ci ha rassicurato.

Adriana era già sparita. Non so se la rivedrò di nuovo volteggiare e schivare il mondo.

Quel che so è che la vedo, la sento, in quegli spazi che non si chiamano ricordi.
Forse Adriana non lo sa, ma ce l’ha fatta.

È nel cuore di una giovane donna, che ha schivato e che fin da subito l’ha amata. 

Purtroppo non come lei vorrebbe, meriterebbe, e sogna. E come riprende a fare, ogni singolo giorno.


Commenti

  1. Le parole fanno sognare...
    I gesti d'Amore fanno gioire...

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  2. Complimenti vivissimi!! Sei veramente fantastica come scrittrice, unica ed emotivamente limpida!

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